Commento alla Dei Verbum

Il mio commento alla Dei Verbum è frutto di una riflessione personale e vuole essere un contributo alla diffusione dei documenti del Concilio Ecumenico Vaticano II a 50 anni dalla sua apertura e in concomitanza con l'apertura dell'anno della fede indetto da SS. Benedetto XVI.

Coloro i quali trovassero motivo di approfondimento e di dialogo o anche di correzione fraterna non esitino a contattarmi. Non ho la pretesa di avere la cultura e formazione talmente solide da rendermi immune da errori e data la delicatezza degli argomenti trattati non vorrei, come si dice, uscire anche involontariamente dal seminato.

Iniziamo il commento partendo proprio dal testo.

Dei Verbum

Proemio

1. In religioso ascolto della parola di Dio e proclamandola con ferma fiducia, il santo Concilio fa sue queste parole di san Giovanni: «Annunziamo a voi la vita eterna, che era presso il Padre e si manifestò a noi: ciò che abbiamo veduto e udito, affinchè anche voi siate in comunione con noi, e la nostra comunione sia col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo» (1 Gv 1, 2-3). Perciò seguendo le orme dei Concili Tridentino e Vaticano I, intende proporre la genuina dottrina sulla divina Rivelazione e la sua trasmissione, affinchè per l'annunzio della salvezza il mondo intero ascoltando creda, credendo speri e sperando ami (1).

Dei Verbum: Parola di Dio. Sono ormai duemila anni che la Chiesa annunzia la parola di Dio, annunzia la vita eterna, annunzia Colui che era presso il Padre e si è manifestato. Importante è la sottolineatura: ciò che abbiamo veduto e udito. L'annunzio è partito da testimoni diretti, credibili e affidabili non viene da mitologie o racconti di natura la più svariata. Il nostro Dio è un Dio che si è rivelato, è apparso nella storia dell'uomo e vuole portarci alla vita eterna. Chi vuol portare alla vita eterna? La risposta è chiarissima"il mondo intero". Questo annunzio di salvezza deve far crescere le virtù teologali: Ascoltando creda (fede), credendo speri (speranza) sperando ami (carità)

Note

1. Cf S. Agostino, De catechizandis rudibus, 4, 8: PL 40, 316